mercoledì 5 agosto 2009
"raccontava tante storie, ma..."
L'impressione di falsità assoluta è troppo forte e fastidiosa, impedisce di applaudire, irrita: in Racconti di giugno (visto stasera al Chiostro di San Martino) Pippo Delbono svelerebbe masochisticamente se stesso ("omosessuale, sieropositivo e buddista"), ma lo fa in un modo del tutto cinico e (auto)celbrativamente grottesco, da trasmettere per contrasto l'assoluta falsità di quanto (si) mette in scena. Premesso: non so nulla della sua storia personale, né della sua vita privata (non che la cosa mi interessi particolarmente, sia chiaro). Se quanto racconta (in maniera nebulosa e meccanicistica è vero, qual è il messaggio? Boh. Ma tutto sembra troppo finto. Non si può fingere di citare l'Enrico IV di Pirandello recitando un brano inventato: meglio, se si fa così non posso che mettere in dubbio la veridicità di tutto quanto sto ascoltando. O lo stesso per la pseudoricreazione alla maniera di Sarah Kane. La falsificazione della parola (e della memoria poetica), la contaminazione-ricerazione di citazioni e spettacoli già performati (in uno spettacolo-contenitore-pastiche indigeribile) non fa altro che gettare un'ombra di falsità sull'intera narrazione. Sia pure vera, ma non convince: su un palcoscenico la realtà 'quotidiana' non esiste, il racconto la trasforma e la deforma: questo spettacolo manca di credibilità. Quanto alla bravura recitativa, poi, ho molti dubbi: ho sentito Delbono leggere anni fa al Museo della memoria con la stessa intonazione e monotona modulazione di voce di tutte le cose lette stasera.
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