Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli (Italia 2009) è preceduto da un meraviglioso corto in stop motion Sputnik IV (? ho delle incertezze sul numero), che rievoca gli esperimenti sovietici di invio di navicelle nello spazio, con topi, cani e un ragno che discutono sottotitolati dei progressi del comunismo: memorabile è la parodia di 2001, con i topi-cavia chiusi in una gabbia ‘capitalista’ che danzano il Bel danubio blu: vale da solo il biglietto!
È un film di formazione e di corsa: comincia e finisce con due momenti di riflessione della giovane Luciana. Il primo prelude alla sua fuga dalla chiesa dove dovrebbe ricevere la prima comunione, da cui evade e fugge come una sposa dall’altare verso casa propria (e le immagini ricordano la fuga liberatoria di Stella dopo l’acquisto del libro di Cocteau: sarà un caso che la signora anziana che la saluta al rientro la chiami proprio Stella?); il secondo segue alla sua corsa alla Antoine Doinel verso il fratello ritrovato, che la attende guardando il mare. Nel mezzo c’è la storia di una ragazzina tra 1957 e 1963, che cresce sullo sfondo di una precoce militanza nel Pci (passione ereditata dal padre scomparso), la ricerca di modelli di riferimento (la zia), i problemi familiari (secondo matrimonio della madre, l’epilessia del fratello maggiore), i tormenti d’amore (“un cuore matto”): la ricchezza del film, che pure ha momenti un po’ facili e prevedibili, mi pare stia proprio nel presentare una donna (come Luciana rivendica con orgoglio di fronte al suo innamorato) che cresce e si forma, con tutte le incoerenze, gli egoismi e le contraddizioni dell’adolescenza.
Sullo sfondo, oltre alla storia della conquista dello spazio che percorre il film e ne scandisce il tempo, c’è l’urgenza della questione femminile, la lotta contro il maschilismo interno al partito (e alla società, ovviamente), la conquista dello spazio anche da parte di una compagna sovietica, Valentina, la prima cosmonauta (che, va detto, è un sostantivo di gran lunga migliore di astronauta). Il suo successo nello spazio è una piccola conquista femminile in vista di quell’obiettivo doveroso e ancora oggi non raggiunto, la parità o, meglio, la non discriminazione (penso ai salari, ma non solo).
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