
Francesca Mazza è eccellente interprete di Non io, di cui il regista stravolge le indicazioni sceniche dell'autore, per ricreare e reinterpretare il testo, facendo emergere nuove suggestioni. L'attrice è prigioniera di una gabbia di tela bianca con pavimento di erba sintetica - che estrinseca uno dei momenti chiave dell'infelice vita della protagonista, per quanto si evince dal testo - e all'inizio indossa un burqa che lascia scoperta solo l'apertura della Bocca, la parte che prende il sopravvento sull'individuo; si vedono i piedi con le unghie smaltate di rosso, gli occhi sono chiusi/segnati da spille da balia, in mano reca margherite bianche che sfoglia mentre il monologo, molto pausato, procede. La gabbia poi si alza, l'attrice è spogliata dal burqa, si aggira (o, meglio, vagola) per il prato, dentro e fuori, riceve una pioggia di petali bianchi che rappresentano le sue lacrime (e ciò conferisce un significato straziante ai fiori che inizialmente teneva in mano). Poi la gabbia progressivamente ricade, imprigiona ancora, mentre le parole non cessano.
Il generale rallentamento voluto dalla messa in scena impone un'introspezione maggiore ad un teso altrimenti vomitato fino quasi all'incomprensibilità: l'universale dramma della condizione umana rimane, ma è meglio veicolato dall'attenzione all'anonima protagonista femminile, che aggiunge alla voce una corporalità comunque negata, come sottolinea la scelta dell'abito e l'assenza di ogni forma di piacere (mai provato anche quando avrebbe dovuto).
Da brividi alcuni gesti della Mazza, come il tentativo fallito di gridare e il quando, fuori dal prato, si volta di scatto additando l'altra ('lei') dentro, ma assente (non io, appunto). E ancora le ombre proiettate sulla prigione. Mi pento di non aver applaudito di più!
In Giorni felici il cumulo di terra è sostituito da una piscina di mele rosse (con ringraziamento all'insolito sponsor all'uscita), con alcune che cadono violentemente dal soffitto, quasi a scandire il tempo (un espediente simile - allora un tuono - era stato impiegato da Adriatico nella messa in scena di Orgia). Eva Robin's è Winnie, immersa (nel primo atto a seno nudo) nelle mele; dietro di lei è sdraiato nudo Willie, interpretato da Gianluca Enria, che recita le didascalie del testo, "come a suggerire l'idea che conosca a memoria i vuoti gesti ripetitivi della moglie, descrivendo così la monotona ed eterna routine della coppia" (d'accordo con te in questo). Anche qui la tensione all'universale del testo è trasmessa per mezzo dell'abbassamento della vicenda ad una dimensione (quasi) quotidiana, nello squallore di una coppia, incapace persino di una sessualità condivisa (Willie si masturba sotto un asciugamano guardando video porno).
Angela Baraldi è l'inaspettatamente giovane interprete di Dondolo, puro testo "dodecafonico" (bellissima la tua definizione): seduta in lacrime su una sedia lentamente trasportata verso il pubblico dal fondo della ribalta coperta di macerie, offre una convincente prova attoriale.
Nel complesso, bravi gli attori e interessante la messa in scena, che dimostra che non esiste un'ortodossia beckettiana: come insegna la tradizione (pro captu lectoris habent sua fata libelli), i testi teatrali vivono anche e soprattutto di tradimenti e di messe in scena sempre nuove, che possono piacere, infastidire o annoiare. Questo trittico mi (ci) è piaciuto!
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