Imperdibile la messa in scena di Copenaghen di Michael Frayn, regia Mauro Avogadro, con Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice: il testo è denso, difficile e sicuramente faticoso per un venerdì sera, ma la fatica vale tutta. I tre attori sono impeccabili, con Orsini nel ruolo di Niels Bohr, la Lojodice in quello di sua moglie e Popolizio che interpreta Eisemberg: molto sobri, anzi austeri, vestiti di grigio come si conviene ad un aldilà indefinito, si muovono attraverso la scena come elementi, anzi come elettroni e particelle, secondo orbite 'indeterminate' ma precise. Nella ricostruzione tripetuta dell'incontro avvenuto a Copenaghen nel 1941 emergono tuti i contrasti tra i due, le fatiche e i contrasti insiti nella ricerca scientifica, le rivalità e gli scrupoli morali sulla libertà di pensiero e di azione, una seduta psicanalitica (guidata spesso dalla Lojodice), un agone e una rievocazione di un'amicizia in apparenza solida. Appassionante è l'assidua e inesausta ricerca della verità (intangibile) delle azioni umane (tutto comincia con la domanda: "perché Eisemberg venne a far visita al suo maestro Bohr quel giorno del settembre 1941?"), per arrivare ad una versione condivisa, oggettiva, 'scientifica', anche se in fondo falsa, perché si tratta sempre di una ricostruzione post mortem rappresentata su di una scena.
Infine va menzionata anche la scena, anch'essa particolare: in leggera discesa, un emiciclo di un'aula universitaria delimitata da lavagne riempite di formule.
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