Per pura coincidenza, venerdì scorso al Lumière si proiettava I pugni in tasca (Italia 1965), che avevo visto anni fa quando ero (cinematograficamente parlando) ancora troppo giovane. Ciò nonostante, mi sono trovato a pormi durante la visione la stessa domanda di allora: cosa sta cercando di dire il regista raccontando questa storia? E, come allora, la risposta è la stessa: non capisco, non riesco a capire. Restano i soliti problemi di comprensione tra me e Bellocchio: al di là della crudeltà insita nella famiglia borghese e nella malattia (reale e metaforica) che la appesta, mi sembra un film algido e chiuso, che non comunica emozioni (se non smarrimento e impotenza di fronte alle immagini). La domanda vera, forse, è: a cosa mira tutta questa violenza familiare? Da dove ha origine? A questo non trovo risposte.
E allora non avevo notato la più evidente bellocchiata: dopo che Lou Castel, il fratello peggiore, va con la prostituta, entra in una chiesa, si fa il segno della croce e dice "così sia" gridando mentre esce di scena (sequenza di 10 secondi): perché?
Nessun commento:
Posta un commento