4 giorni, 5 film di Godard e 1 spettacolo teatrale. Nell'ordine:
La paresse (episodio di Les Sept Péchés Capitaux, Francia-Italia 1962): piacevolissimo corto con Eddie Constantine come geniale interprete del pigro protagonista, affaticato persino dal pensiero di doversi allacciare le scarpe, dal masticare un sanwich con pane bianco e maionese e soprattutto dal doversi rivestire dopo aver fatto l'amore: perciò, pigramente, desiste.
Il nuovo mondo (episodio di Ro.Go.Pa.G, Italia-Francia 1963): non può non venire in mente la Parigi e le atmosfere (notturne) di Alphaville. Il mondo è sconvolto da alcune (presunte?) esplosioni nucleari sopra Parigi, che causano un panico sopito, il ricorso a psicofarmaci (pillole ingerite in continuazione) e la morte dei sentimenti umani, quali l'amore: l'"io ti ex amo" che sarà poi ribaltato nel finale liberatorio di Alphaville. Anche qui le donne come la protagonista Alessandra girano armate di coltello negli slip, vanno in piscina ma non ammazzano uomini condannati, ma baciano sconosciuti senza sapere perché; si dimenticano parole, come "évidemment", che diviene "absolutement"; il linguaggio diviene artificoso e non serve più alla comunicazione, ma solo vuoto ripetuto.
Les carabiniers (Francia-Italia 1963): apologo sulla guerra e sugli ultimi dell'umanità che subiscono le guerre come carne da cannone; scenari da teatro minimalista e dell'assurdo (ma l'assurdo è la drammatica realtà); dialoghi talvolta surreali, ma nel complesso ricorda molto Brecht come intento didattico e di denuncia. Le cartoline che i Ulysses e Michelange mandano alle due donne (madre-moglie e figlia-sorella, se ho ben capito), il cui contenuto è espresso dagli inquietanti cartelli con cui i due raccontano gli agghiaccianti resoconti della guerra, ritornano nel finale come atti di proprietà dei beni conquistati sul campo, pronti per essere esatti alla fine del conflitto. Invano. Molto cervellotico, ma lascia molto su cui pensare (lignuaggio, simbolismi, politica, cultura e educazione).
Le grand escroc (Francia-Italia-Giappone 1963): episodio tagliato da Les plus belles escroqueries du monde, ha per protagonista la Seberg che si aggira da reporter americana per Marrakech armata di cinepresa per un documenatrio televisivo. L'intervista al falsario che regala banconote ai poveri è un trattato di filosofia politica, talvolta un po' involuto.
Le Mépris (Il disprezzo, Francia-Italia /1963): alla terza visione e alla prima al cinema, finalmente, sono stato travolto dal film e dalla sua storia, che pure mi aveva semre affascinato ma non avevo mi afferrato fino in fondo. La fine della storia d'amore di Camille (B.B.) e Paul (Piccoli) che finisce per identificarsi con quella di Penelope e Ulisse, come confermano, ad esempio, l'interpretazione autobiografica dell'Odissea spiegata a Friz Lang da Paul e il bagno finale di Camille nuda, così come nuotava la Penelope del fim in un giornaliero. La crisi improvvisa e violenta nasce da una colpa di lui, che a giudizio di lei la abbandona al produttore come se la inducesse al tradimento: la resa dei conti dura tutta la parte centrale del film, nella loro casa: qui avviene il duello, la resa dei conti divisa in due momenti dal meraviglioso intermezzo di monologhi interiori incrociati, su immagini di momenti cronologicamente precedenti e successive. Momenti di violenza, dolcezza, tenerezza, tutto con la sensazione che l'illusione del loro amore sarebbe potuta continuare se si fosse detta o non detta una sola parola. Ciò fatalmente non può avvenire, il vaso di Pandora si apre, Camille incalzata dalle domande di Paul confessa spietatamente la fine repentina del suo amore. Da lì, come in una tragedia greca, la loro storia non può che rovinare verso l'abisso, la fine tragica di lei in fuga e la triste partenza di lui verso un futuro incerto, mentre Lang gira la scena di Ulisse che scorge per la prima volta la sua patria all'orizzonte.
Osservazioni sparse: inserti metacinematografici, come i titoli di testa recitati in voce over, a cui Truffaut renderà omaggio (molto funzionale) in Fahrenheit nel 1966; feroce critica alla volgarità e idiozia del produttore: "quando sento la parola cultura metto mano al libretto degli assegni", corretto poi da Fritz Lang, che ricorda i tempi più bui; l'apprezzare la scena del bagno della sirena nuda; la necessità di modernizzare l'Odissea; la volgarità dei soldi e del potere; a Mullholland Drive fanno pensare la parrucca nera che indossa Camille in casa e poi nel teatro di posa (le coppie che danzano su sfondo bianco con ombre molto marcate fanno pensare anche ai titoli di testa di Lynch).
Oggi pomeriggio allo Storchi di Modena Il dio della carneficina di Yasmina Reza, con la regia di Roberto Andò, interpretato da Silvio Orlando, Alessio Boni, Anna Bonaiuto, Michela Cescon: molto deludente, prima mezz'ora noiosa e senza ritmo, poi un po' troppo prevedibile, nonostante alcune risate. Un po' troppo stirachciato il finale. Da dimenticare in fretta.
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