venerdì 26 febbraio 2010
"Genova di tutta la vita, mia litania infinita"
Rapito e commosso. Questo l'effetto di La bocca del lupo (Italia 2009) di Pietro Marcello, vincitore dell'ultimo TFF, un'opera che chiamare film è poco. Si tratta infatti di un'opera d'arte, molto poetica e profonda, che mescola parole, immagini e atmosfere con un intento lirico-poetico molto concreto e terreno, con un atteggiamneto che richiama la poetica Pasolini e De André. La sapiente mescolanza di filmati amatoriali novecenteschi della città di mare e di porto (vari di navi, smantellamento di cantieri, carrugi) contribuiscono a creare l'ambiente, a far sentire presente e vivo un mondo intero, quello dei più emarginati, degli ultimi, dal quale viene scelta come a caso una storia da raccontare (la scelta è nella contemporaneità, ma potrebbe trattarsi benissimo di una avvenuta un secolo prima: proprio questa mescolanza di presente e passato permette questa interpretazione). Le immagini generano e accompagnano le parole, inizialmente in voce over, dei due protagonisti, come se fosse fiction, per rovesciarsi brutalmente verso la fine in un'intervista in puro stile documentarista. E non mi interessa sapere se si tratti di verità o finzione: se la storia d'amore di Enzo, emigrato siciliano, e Mary, transessuale, non fosse stata raccontata, avremmo perso qualcosa. Le immagini ci portano come per mano per i carrugi e per il porto, dove cammina all'inizio Enzo; la m.d.p. si sofferma poi su altre storie possibili, come le transessuali di via del campo, persone reiette che vivono sotto un ponte della ferrovia, immigrati, emarginati e ubriachi di professione. Ma sono altre storie, possibili e tutte da raccontare, per chi avesse voglia di addentrarsi "lungo le calate dei vecchi moli, in quell'aria spessa carica di sale e gonfia di odori". Lascia una gran voglia di mare, e l'eco di molte parole (De André, ad esempio - dai diamanti... - e Caproni). Un atto d'amore per una città straordinaria e polimorfa.
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