Tornando a casa, ieri sera, sotto i portici di via Irnerio, canticchiavi "scivola, scivola vai via, non te ne andare ...": "Ecco, questa canzone l'avevo dimenticata nel post precedente!" (II tempo, per la cronaca)
Tornando a casa dal Lumière, dopo la proiezione di Stella (di Sylvie Verheyde, Francia 2008, 102'), un bel film francese in tutto e per tutto: per l'atmosfera, la sensibilità e la delicatezza nel trattare situazioni familiari e personali molto difficoltose. Il grande pregio di questo film consiste nella scelta di girare tutto ad altezza protagonista, cioè ad altezza di bambina (molto espressiva la giovanissima Leora Barbara): e proprio sotto questo angolo di osservazione la regista sceglie di raccontare solo la sua sfida quotidiana alla vita e all'ambiente (non certo positivo) che la circonda. I problemi (e la crisi) di coppia vissuti dai suoi genitori, le difficoltà di vivere dentro e al piano di sopra del caffè gestito da loro, il rapporto con gli avventori (tra cui anche un inequivocabile 'orco'), tutto questo non è volutamente approfondito, drammatizzato, ma osservato, vissuto e raccontato attraverso gli occhi e i pensieri di Stella, ingenui e profondi allo stesso tempo. Ad esempio, quando si sta recando per la prima volta a casa della sua amica-compagna di banco Gladys (dal viso tondo e buffo), riflette sulla sua diversità (citazione a memoria con inevitabili omissioni): "so tutto del campionato di calcio, so come si scopa o come si fa un bambino, so tutto del biliardo e delle carte, ma nulla delle cose che contano nella vita". Stella si riferisce alla diversa estrazione culturale rispetto all'amica, a differenza della quale non conosce Fontainbleaux, Balzac o Cocteau, ma che per emulazione e curiosità decide di cominciare a frequentare, appassionandosi alla lettura (e attirandosi gli sguardi e le perplessità della madre, che vedendola leggere e rifiutare un giro di shopping le chiede se sia per caso innamorata). La critica non ha sbagliato a parlare di questo film come de I quattrocento colpi al femminile (aggiungendo anche il confronto con Il tempo delle mele): la differenza sta forse nel tocco ancora più leggero e femminile della regista, che lo distingue dal grande Truffaut e fa sì che non ne sia una copia in qualche modo attualizzata. E tanti sono i momenti da ricordare, come il dialogo tra madre e figlia dopo la convocazione in presidenza ("è a lei che bisognerebbe spaccare la faccia contro il termosifone"), al rapporto tra Stella e l'amica di campagna, il momento in cui Stella imbraccia il fucile e intima all'amante della madre di andarsene, le prime mestruazioni di Stella, la corsa all'uscita della libreria dopo l'acquisto di un libro di Cocteau ...
Insomma, un film che vorrei rivedere tra qualche anno, quando lo avrò quasi dimenticato: uno dei complimenti migliori per qualsiasi opera d'arte.
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